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venerdì 24 febbraio 2012

ATTACCO DA DESTRA



" Il modello sociale europeo è già morto" : è questa la dichiarazione rilasciata dal governatore della BCE in una lunga intervista  al Wall Street Journal.
Frutto di un secolo e mezzo di conquiste sociali, il nostro Welfare, espressione di una cultura occidentale che , riteniamo , su questo piano, sia la più avanzata del mondo, dovrebbe essere liquidata dall'ingordigia delle banche e dei mercati, in nome di nuove regole snelle e flessibili dettate da loro.
Quando parliamo del "modello sociale europeo", come lo definisce Draghi, parliamo dell'identità della nostra civiltà occidentale, presente anche nei principi espressi dalla nostra costituzione, del valore del lavoro in una società che affonda le sue radici nell'umanesimo del pensiero illuminista.
Chi ha provocato la crisi ora pretende di addossarne le cause a chi l'ha dovuta subire sul proprio corpo:
"Superior stabat lupus, longeque inferior agnus..."
             Gli intervistatori del Wall Street Journal oppongono a Draghi la critica più frequente che viene mossa negli Usa (sia dall´Amministrazione Obama che dai media, o anche dal Fmi), cioè l´effetto pro-ciclico dell´austerity imposta ai paesi europei.
            Draghi ribatte a sua volta con una domanda retorica: «C´è un´alternativa al risanamento dei bilanci pubblici?» E si dà questa risposta: «I rapporti tra debito pubblico e Pil erano eccessivi, quindi non c´è alternativa al consolidamento fiscale, anche se non si può negare che nel breve termine questo abbia l´effetto di frenare la crescita».
            Il governatore della BCE  affronta indirettamente le critiche rivolte dagli americani ad Angela Merkel, accusata di imporre la recessione al resto d´Europa. Pur senza citare la Germania da sola, né la sua cancelliera, il banchiere centrale descrive un´eurozona dove ci sono «paesi ad alto debito e bassa crescita, e paesi con pochi debiti e forte crescita». E quindi osserva: «Non possiamo stare in un sistema dove tu spendi quanto vuoi, e poi chiedi agli altri di emettere bond tutti insieme. Non si può stare in un sistema dove tu spendi e io pago. Prima di spostarci verso una unione fiscale dobbiamo avere un sistema in cui ogni paese sa reggersi da solo.
E' opinabile che Grecia e Germania, per fare un esempio abbiano lo stesso peso e la stessa responsabilità. I vasi di coccio si rompono quando si scontrano con quelli di ferro e, nella comune economia dell'Europa, è troppo facile per il gigante fare le pulci al topolino.
E' questo modello di Europa che noi rigettiamo. Una Europa così, alla lunga, non potrà  che suscitare l'odio di tutti i suoi figli.
A questa destra che non ha titolo perl dettare regole, come fa con supponenza e arroganza, dati i disastri da essa provocati e il marasma in cui ci troviamo per causa sua, si contrappone una sinistra che si muove in direzione opposta  per porre rimedio alle cause che il disastro hanno determinato. Un pensiero critico mondiale nei confronti del finanzcapitalismo, come viene definito da Gallino, non è tuttavia patrimonio esclusivo degli economisti e dei sociologi di sinistra. Gran parte della cultura economica mondiale manifesta malessere e critica nei confronti di teorie liberiste sempre meno difendibili.
Nell'ambito di questa riflessione internazionale sulla crisi è significativo il recente  incontro tra i leader dei maggiori partiti della sinistra europea dal quale prende l'avvio il  cosiddetto "manifesto di Parigi", com´è stato ribattezzato dall´Unità. Si tratta dell'intesa tra Bersani, Hollande (Ps) e Gabriel (Spd) per una sorta di programma socialdemocratico del XXI secolo, primo  abbozzo di risposta politica concreta dell'Europa che lavora contro l'aggressione della finanza senza controlli.
In controtendenza,da una concitata riunione di "Areadem, svoltasi ieri mattina, parte una durissima critica al segretario nazionale Bersani per la recente  presa di posizione in merito alla trattativa sul mercato del lavoro e per l'incontro di Parigi.
Tanta agitazione  per affermare un allineamento acritico all'azione del governo Monti denuncia un radicale scostamento della destra PD  rispetto al movimento della sinistra nel suo insieme e un chiarissimo spostamento verso posizioni politiche che sono chiaramente quelle del terzo polo.
Non vediamo quale sia lo scandalo di un partito della sinistra italiana che si confronta con i partiti della sinistra europea per trovare una alternativa alla politica delle destre.
Non vediamo quale sia lo scandalo di un Segretario del PD che sostiene le posizioni del mondo del lavoro, della CGIL e di Bonanni nella attuale trattativa col governo ( dovrebbe sostenere la Marcigaglia?).
I veltroniani con la loro scomposta agitazione in favore di una accettazione acritica di tutto ciò che propone il governo Monti si spingono oltre le posizioni dello stesso governo, ignorando che , mentre loro dividono sciaguratamente il fronte della sinistra, le lobby , sostenute e protette dal patron di sempre, impongono al governo duri dietro front sulle liberalizzazioni .
Lascio a voi ogni commento.

Giovanni Fazio



Allego l'articolo di Macaluso tratto dal "Riformista " del 22/02/2012 e quello di Giovanna Casadio da Repubblica di oggi 23/02/2012


 
Pd, dai filo-Monti stop al segretario "Il nostro sostegno sia senza ombre"



Franceschini: "Non possiamo certo essere noi a tenere il governo a bagnomaria"

GIOVANNA CASADIO


ROMA - Dopo tre ore di riunione, Antonello Giacomelli, che è stato capo della segreteria quando Dario Franceschini guidava il Pd, lancia un tweet che riassume gli umori sull´ultimo scontro democratico: «Dal patto di Vasto al manifesto di Parigi. L´evoluzione è stata notevole. Quella geografica, intendo». Perfidia di un cattolicodemocratico. Il "manifesto di Parigi"- com´è stato ribattezzato dall´Unità - è l´intesa tra Bersani, Hollande (Ps) e Gabriel (Spd) per una sorta di programma socialdemocratico del XXI secolo. Una mossa che ha risvegliato le ostilità anti-Pse degli ex Margherita. Si somma ai dissidi in casa Pd che girano attorno al nodo politico dell´appoggio a Monti e del futuro della sinistra.
La riunione era quella di ieri mattina di Areadem, la corrente di Franceschini. Sentimento dominante l´irritazione. Irritazione contro i "gauchisti" filo-Fiom ma anche contro Bersani e l´aut aut al governo Monti sulla riforma del lavoro e la messa in scena del conflitto Veltroni/Bersani. Franceschini in riunione è esplicito: «Il Pd è nato per rappresentare non una sola parte, e il nostro sostegno a Monti deve essere senza ombre, non possiamo certo tenere il governo a bagnomaria». Clima teso nel Pd, voci di scissioni che - dice il segretario - sono, come al solito, fatte circolare ad arte. Però non si possono minimizzare le spaccature tra i "full Monti" e i bersaniani. Veltroni e tutta la minoranza sostengono che «così si fa harakiri». Paolo Gentiloni è durissimo: «Monti non è il governo Badoglio», ripete. «Quando la smetteremo di incaprettarci sarà sempre troppo tardi», si sfoga Roberto Giachetti. Michele Meta chiede di «fare il tagliando al partito», non proprio un congresso (che sarebbe incomprensibile di questi tempi, con «i supermarket che vendono croste di formaggio a dimensione delle tasche dei pensionati», come replica Bersani) però qualcosa di molto simile. Perché «c´è un delirio su tutto», dalla legge elettorale («Sono ostile alle bozze che circolano nel Pd», s´indigna Parisi) al "manifesto di Parigi" , ma soprattutto su articolo 18 e riforma del lavoro. Beppe Fioroni, per dire, deve scrollarsi l´accusa di essere pronto all´abbraccio con i centristi dopo avere incontrato Passera («Ma era per parlare di Civitavecchia»). Tuttavia aggiunge: «Stiamo commettendo errori, perché siamo diventati complicatori, invece che facilitatori dell´intesa tra governo e parti sociali e così indeboliamo il paese». I veltroniani parlano di appiattimento sulla Cgil, che non piace affatto neanche al vice Enrico Letta.
Bersani sa bene che la messa in mora della sua leadership è sempre dietro l´angolo. La riforma del lavoro è solo la prima mina nel terreno accidentato che il Pd ha davanti. Però sul corteo Fiom c´è una retromarcia del "gauchisti" democratici. Bersani dichiara: «Non partecipiamo a manifestazioni contro il governo Monti ma se c´è una piattaforma compatibile, sì. Vedremo la piattaforma, ne discuteremo in segreteria». Stefano Fassina quindi frena: «Non farò nessuna fuga in avanti». Cesare Damiano è pronto a ripensarci, se la manifestazione Fiom del 9 marzo raccoglierà gli antagonisti, i no-Tav non andrà. Su Pse e Europa Bersani con un gruppetto Pd, ne discute a cena con Schultz.

 
Il tabù dei nemici
del tabù

di Emanuele Macaluso



problemi che pone la riforma del mercato del lavoro sono tanti e rilevanti. Ma si parla solo dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Ed è curioso che proprio coloro che dicono di non fare di quell’articolo un tabù sono quelli che ne fanno un tabù.
Sembra che se non si cancella quell’articolo, nel mondo della produzione e del lavoro tutto debba restare come prima. In questo quadro le dichiarazioni della Marcegaglia sono sorprendenti e anche un po’ indecenti. Sorprendenti perché i suoi comportamenti, le trattative e gli accordi sulla contrattazione, non facevano certo pensare a una rinuncia alle riforme dell’articolo 18, ma sicuramente alla ricerca di una intesa complessiva con i sindacati. Indecenti perché fa di qualche caso di abuso (e ci sono stati) un’accusa che coinvolge il sindacato nel suo complesso. Non è un caso che i ministri più disastrosi del disastroso governo Berlusconi hanno alzato la voce proponendo, ancora una volta, la cancellazione dell’articolo 18 come uno spartiacque tra chi vuole le “riforme” e chi le nega. Ridicolo.
Debbo dire che la dichiarazione del presidente del Consiglio secondo la quale, se il governo non trova un accordo con le parti sociali, andrà avanti lo stesso è un’inutile sfida e un’imprudenza politica. Chi fa una trattativa deve solo dire che farà di tutto per concluderla positivamente. Se malauguratamente non riuscisse, decida il da farsi valutando la situazione nel momento in cui il fatto si verifica. Invece no: si discutono ipotesi e atteggiamenti muscolari. Bersani non poteva dire altro che quel che ha detto: se, nonostante la rottura con i sindacati, il governo presenta un testo è un fatto negativo ma valuteremo i contenuti per decidere come votare. E cosa doveva dire? Votiamo a scatola chiusa?
La reazione di alcuni giornali a questa posizione è solo strumentale. Tuttavia, il sindacato, che ha finalmente raggiunto una significativa unità, non deve restare sulla difensiva. È vero, oggi i licenziamenti si verificano perché le aziende chiudono o riducono drasticamente l’occupazione, e l’articolo 18 non c’entra niente.
Ma è anche vero che non ha senso rifiutare un confronto sul complesso dei problemi che quell’articolo pone, purché resti ferma la norma costituzionale di libertà contro ogni licenziamento per rappresaglia, per motivi politici, sindacali e razziali. I sindacati confederali hanno avuto sempre una moralità nella concezione del lavoro che contraddice radicalmente con la difesa dei “fannulloni”. Non scherziamo con il dramma che oggi attraversa tutto il mondo del lavoro.
La legittima preoccupazione di perdere il lavoro ha innalzato la produttività, anche dove non si verificano innovazioni tecnologiche. I tempi sono difficili per tutti e il governo opera per fare uscire il paese da una morsa che può schiacciarlo: per questo va sostenuto, ma esso deve anche operare per non perdere il consenso dei lavoratori. La ridicola campagna di “sinistra” contro il “governo delle banche” va respinta perché i fatti dimostrano il contrario. Ma chi pensa che quello di Monti poteva essere il governo della sinistra alternativa alle banche e al mondo dell’impresa, è un cretino. Del resto in passato chi ritenne che dovesse esserlo il governo Prodi, (classe contro classe!) provocò solo disastri e costruì autostrade a Berlusconi. La sinistra lavori e operi per essere se stessa e progettare un futuro diverso per questo paese.
mercoledì, 22 febbraio 2012




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